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I criteri di quantificazione dell’assegno per il coniuge e i figli
Riflessioni, proposte e orientamenti del Tribunale di Monza
di Piero Calabrò, magistrato, Presidente f.f. della IV Sezione Civile del Tribunale di Monza.
(da "Altalex")
Sommario: 1. Premessa - 2. Il rispetto delle regole procedurali e la valorizzazione dell’opzione conciliativa - 3. Gli accertamenti sommari antecedenti l’emanazione dei provvedimenti provvisori - 4. La necessaria adozione di criteri oggettivi e predeterminati - 5. L’incidenza dell’assegnazione della casa coniugale - 6. I criteri oggettivi e predeterminati di liquidazione dell’assegno di mantenimento adottati dal Tribunale di Monza (Tabelle 2008)
1. Premessa
La “novella” legislativa in materia di diritto sostanziale e processuale della famiglia sta, ormai, avviandosi al raggiungimento del terzo anno di vita e, dunque, ben presto non potrà neppure più essere definita come tale.
L’inevitabile carenza di consolidati riferimenti giurisprudenziali di legittimità sta iniziando, man mano, ad essere ovviata dalle numerose decisioni dei giudici di merito, favorite anche dai necessari requisiti di celerità dei processi in materia di famiglia.
Se, però, molte delle innovazioni introdotte dalla legge n. 54/2006 sono state ampiamente ed approfonditamente sviscerate (si pensi alle tematiche dell’affido condiviso, dell’assegnazione della casa coniugale, della corresponsione diretta dell’assegno ai figli maggiorenni), non altrettanto può dirsi quanto alla liquidazione del contributo al mantenimento del coniuge e dei figli ed ai criteri che dovrebbero orientarla.
In effetti, la legge n. 54/2006 nulla ha innovato con riferimento al mantenimento del coniuge e si è limitata, quanto a quello dei figli, ad elencare una serie di parametri sinceramente assai generici e di difficile applicazione concreta.
Ancora una volta, dunque, dottrina e giurisprudenza sono chiamate a sopperire all’assenza di sicuri ed indiscutibili criteri di quantificazione dell’assegno di mantenimento: conclusione che
può considerarsi per certi aspetti inevitabile, ma che avrebbe necessitato del supporto di altri e ben più certi punti di riferimento, quantomeno rispetto alle situazioni maggiormente ricorrenti e statisticamente più usuali.
Questa evidente carenza si appalesa ancor più deleteria con riferimento alle decisioni assunte o da assumersi in sede di udienza presidenziale:nel momento di maggiore conflitto tra le parti, con l’inevitabile e giustificato coinvolgimento psicologico e umano di tutti i protagonisti del processo, il Presidente è chiamato ad assumere provvedimenti destinati a durare nel tempo e ad incidere in profondità nella vita altrui, operando “senza rete” e con poche certezze.
In attesa di tempi e normative migliori, di fondamentale importanza è il raffronto tra le prassi dei vari organi giudicanti e la diffusione della conoscenza sui criteri concretamente adottati.
2. Il rispetto delle regole procedurali e la valorizzazione dell’opzione conciliativa
La legge n. 54/2006 ha introdotto una notevole semplificazione delle procedure di attivazione del giudizio ed ha imposto alle parti, ai loro difensori e allo stesso magistrato una serie di comportamenti virtuosi, destinati a garantire trasparenza e rapidità di giudizio.
Il Tribunale di Monza ha immediatamente sposato questa linea applicativa, consapevole che, come suol dirsi, non vi è giustizia senza certezza di tempi e di regole.
Con precipuo riferimento alla rapida instaurazione del processo, è stato sino ad oggi sempre garantito il rispetto del breve termine (5 giorni dal deposito in cancelleria del ricorso) per la fissazione dell’udienza presidenziale, nonché la sua collocazione nel termine di gg. 90 dallo stesso deposito dell’atto introduttivo.
Personalmente ho anche interpretato come tassativo ed inderogabile il rispetto, da parte del coniuge resistente, del termine assegnato per il deposito di “memoria difensiva e documenti”.
La legge non ha, in verità, qualificato tutti gli anzidetti termini come perentori, di talchè una esplicita sanzione destinata al loro mancato rispetto non può dirsi codificata.
La prassi precedente la riforma ha, in particolare, consentito alla parte resistente, in una percentuale elevatissima di casi, di presentare memoria e documenti in limine litis, vale a dire all’udienza stessa fissata innanzi al Presidente.
Tale consuetudine, non sanzionabile in alcun modo, ha ingenerato nel giudice e nelle parti un circuito vizioso ed un modus procedendi tutt’altro che votati alla celerità: il Presidente aveva solo in udienza una rapida ed inevitabilmente superficiale conoscenza delle difese della parte resistente, mentre il difensore del coniuge ricorrente spesso invocava la concessione di un rinvio allo scopo di esaminare le allegazioni e produzioni avversarie.
Il rispetto sostanziale delle nuove norme, invece, consente al Presidente di esaminare con un congruo anticipo (dallo stesso fissato e valutato ex ante) le difese ed i documenti delle parti e di garantire una piena conoscenza del caso sottoposto alla sua provvisoria giurisdizione, quantomeno nei limiti delle allegazioni e produzioni già agli atti del processo.
E’ perfino superfluo sottolineare come l’adozione di una simile prassi virtuosa contribuisca a facilitare il compito del magistrato che, in prima battuta, si occupa della vicenda coniugale, anche con precipuo riferimento alla liquidazione degli assegni di mantenimento.
La stessa funzione conciliativa dell’udienza presidenziale, accentuata dalla novella del 2006, ne trae indubbio giovamento.
Quanto a quest’ultimo aspetto, se i primi due commi del novellato art. 708 c.p.c. ripropongono sostanzialmente il testo previgente (“All'udienza di comparizione il presidente deve sentire i coniugi prima separatamente e poi congiuntamente, tentandone la conciliazione. Se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere il processo verbale della conciliazione”), l’adozione del termine“conciliazione” in luogo della precedentemente auspicata “riconciliazione” non può apparire del tutto casuale.
In effetti, se la“riconciliazione tra i coniugi” continua ad avere diritto di cittadinanza nell’ordinamento (in quanto, ai sensi dell’all’art. 154 c.c., “comporta l’abbandono della domanda di separazione personale già proposta”), con l’espressione “conciliazione” il legislatore non ha, invece, inteso imporre al magistrato la sola tentata ricostruzione della unione familiare.
Dunque, il tentativo di conciliazione dovrà riguardare non solo l’eventuale possibilità di una ricomposizione della frattura coniugale, ma anche e soprattutto, una volta verificata in modo negativo tale eventualità, il raggiungimento di un accordo, globale o parziale, sulle questioni dibattute tra le parti, non ultima quella relativa al mantenimento del coniuge e dei figli.
Anche la prevista “assistenza del difensore” appare come un prezioso supporto alla funzione conciliativa svolta dal magistrato, nonchè un incentivo all’attività preventiva (volta ad una possibile soluzione della controversia) esplicata dagli avvocati in epoca antecedente alla comparizione dei coniugi in sede contenziosa.
La presenza nel Foro di professionisti adusi a trattare controversie di famiglia, la conoscenza dei criteri e delle prassi del Tribunale adìto, la enucleazione del materiale rilevante ai fini della adozione dei provvedimenti economici provvisori, sono tutti elementi che, anche al di là dell’inevitabile gioco delle parti, possono contribuire all’individuazione di una soluzione (almeno parziale) delle questioni patrimoniali ed all’affermazione di duraturi parametri per i casi a venire.
Tutto ciò, però, dovrà essere inevitabilmente supportato dalla conoscenza preventiva degli atti da parte del Presidente e dalla propria presumibile esperienza professionale.
3. Gli accertamenti sommari antecedenti l’emanazione dei provvedimenti provvisori
La struttura dell’udienza presidenziale, nel disciplinare i poteri di cognizione sommaria e di decisione provvisoria del Presidente, appare improntata a criteri in apparenza antitetici: l’obbligo di lealtà e di informazione imposto ai coniugi e l’assenza di veri e propri vincoli o limiti ai provvedimenti del giudice.
Tali criteri, invece, ove opportunamente coordinati, consentono il raggiungimento di risultati il più possibile aderenti alla realtà ed ai principi di giustizia.
Nel processo civile ordinario, il dovere “di comportarsi in giudizio con lealtà e probità” imposto alle parti dall’art. 88 c.p.c., al di là della scarsa rilevanza delle sanzioni previste in caso di inosservanza, non è mai stato considerato alla stregua di un obbligo di attivazione, ancor più in materia di produzioni documentali (v. Cass. 19.11.1994 n. 9839).
Il nuovo rito della famiglia, invece, impone alle parti, sin dall’udienza presidenziale, non solo il preventivo dovere di indicare notizie riguardanti la prole, ma anche e soprattutto di allegare “le ultime dichiarazioni dei redditi” (art. 706 c.p.c.; art. 4 legge 898/70).
Come interpretare questa prima esplicita eccezione al principio dispositivo ed ai tradizionali criteri regolatori dell’onus probandi, se non nell’ottica di individuare, nelle scelte operate dal legislatore, l’affermazione di un dovere di lealtà ben più pregnante rispetto a quello dettato dal già citato art. 88 c.p.c.?
Del resto, tale conclusione appare del tutto conforme allo spirito della norma di cui all’articolo 29 della Carta Costituzionale, laddove è sancita la pari dignità morale e giuridica dei coniugi (che, ovviamente, non viene meno nei momenti di patologia del rapporto familiare).
Può, di conseguenza, essere affermata nei procedimenti di separazione e divorzio l’esistenza, a carico delle parti e dei loro difensori, di un obbligo di lealtà più intenso di quello sancito generalmente nel rito processuale civile e caratterizzato, in particolare, da un non astratto dovere di informazione su alcuni aspetti rilevanti della vicenda coniugale, quali le notizie sui figli e sulle capacità economiche e patrimoniali dei coniugi.
L’adempimento a tale obbligo non potrà non apparire essenziale, ai fini della trasparenza ed effettività dei provvedimenti provvisori, se si tien conto che i rimedi consentiti al Presidente nell’ipotesi di reticenza ovvero di insufficiente documentazione delle informazioni di carattere economico (art. 155 ultimo comma c.c.) sono, nell’attualità, spesso paragonabili ad un’arma in gran parte spuntata.
L’ottemperanza delle parti al dovere di adeguata e leale informazione, riguardo alle loro condizioni economiche e personali, apparirà addirittura fondamentale laddove si consideri che lo stesso magistrato, una volta valutato come concretamente impraticabile o non compatibile con i tempi dell’udienza presidenziale l’accertamento di Polizia Tributaria, dovrà avvalersi necessariamente di elementi presuntivi o di carattere notorio (magari suscettibili di introdurre decisioni approssimative), pena l’abdicazione al dovere di rendere giustizia di fronte alla non corretta e non collaborativa posizione di uno dei coniugi.
Giova rammentare quanto statuito in materia dalla Suprema Corte (“in tema di divorzio, il giudice del merito, ove ritenga "aliunde" raggiunta la prova dell'insussistenza dei presupposti che condizionano il riconoscimento dell'assegno di divorzio, può direttamente procedere al rigetto della relativa istanza, anche senza aver prima disposto accertamenti d'ufficio attraverso la polizia tributaria”: Cass. 28/04/2006 n. 9861; Cass. 25/05/2007 n. 12308): detti princìpi, chiaramente, ben possono trovare applicazione sin dall’udienza presidenziale.
In tale ottica, può considerarsi inevitabile o, comunque, opportuna l’adozione di strumenti e di criteri di valutazione oggettivi e predeterminati, fatta salva, in ogni caso, la possibilità per il giudice di valutare il comportamento tenuto dalle parti nel processo (quindi, anche all’udienza di cui all’art. 708 c.p.c.) e le risposte fornite dai coniugi come elemento di giudizio, anche in sede di adozione dei provvedimenti presidenziali provvisori, ai sensi dell’art. 116 c.p.c..
4. La necessaria adozione di criteri oggettivi e predeterminati
L’esperienza maturata, anche successivamente all’entrata in vigore della novella legislativa, unita a quella vissuta tra centinaia di controversie regolate dal rito antecedente, consente di affermare che, purtroppo, il vero oggetto del contendere tra i coniugi sovente è, fin dalle prime battute della loro vicenda processuale, la regolazione economica dei reciproci rapporti.
Anche la civilissima previsione di legge riguardante l’affido condiviso viene, in realtà, troppo spesso utilizzata allo scopo di limitare gli effetti negativi della rottura dell’unità della famiglia sui redditi dei suoi componenti.
In questo contesto, l’udienza presidenziale assume una importanza a volte esiziale, in quanto le deliberazioni adottate appaiono suscettibili di regolare per lungo tempo (anche) la delicata materia dei rapporti economici tra i coniugi.
I provvedimenti del Presidente, peraltro, oltre che sorretti da una cognizione inevitabilmente sommaria dei fatti, sono per definizione temporanei ed urgenti.
Ciò significa che, oltre che provvisori, sono destinati a regolare nell’immediato una situazione di conflitto, che solo al momento della decisione finale troverà, previa adeguata istruttoria, una definitiva soluzione processuale.
Già si è detto del potere conferito al giudice (quindi, anche al Presidente) di disporre tramite la Polizia Tributaria accertamenti “sui redditi e sui beni” non sufficientemente documentati ed oggetto di contestazione (art. 155 ultimo comma c.c.).
Peraltro, l’art. 155sexies c.c. consente al giudice (quindi, anche al Presidente) di assumere, ad istanza di parte o d’ufficio, veri e propri“mezzi di prova”solamente in relazione alle questioni affrontate dalla stessa norma, vale a dire quelle riguardanti i figli minori.
La legge, dunque, nell’attribuire al Presidente un ampio potere in ordine al contenuto di tutti i provvedimenti reputati necessari ed urgenti nell’ambito della controversia di separazione, ne circoscrive al tempo stesso le facoltà istruttorie escludendo, quanto ai rapporti economici tra i coniugi, quelle individuabili strictu sensu come“mezzi di prova”.
Obbligato, perciò, deve considerarsi il ricorso prudenziale a criteri oggettivi e predeterminati, idonei ad impedire disparità di trattamento in situazioni obbiettivamente simili.
Criteri che, in ossequio ai cennati principi di trasparenza e di leale collaborazione tra gli attori del processo, debbono essere resi pubblici (come da tempo è avvenuto nel Foro Monzese), anche al non secondario scopo di favorire un accordo, almeno sulle questioni economiche.
Nel delicato confronto tra le informazioni e la documentazione offerte dalle parti, le motivate loro contestazioni ed allegazioni, i criteri oggettivi e predeterminati predisposti dall’organo giudicante e le risposte fornite dagli interessati alle domande del Presidente (valutabili ai fini, della adozione dei provvedimenti provvisori, ai sensi del disposto di cui all’art. 116 c.p.c.), può essere realizzata una verosimile approssimazione alla realtà dei fatti, tale da consentire una immediata risposta di giustizia alle domande del coniuge più debole e la valorizzazione di uno dei rari momenti di autentica oralità del processo.
5. L’incidenza dell’assegnazione della casa coniugale
La giurisprudenza prevalente della Suprema Corte, nella vigenza delle norme antecedenti la recente novella, ha costantemente statuito che il potere di assegnazione della casa coniugale ad uno dei coniugi può essere esercitato dal giudice solo in considerazione delle esigenze della prole, vale a dire nei soli casi di convivenza con figli minorenni ovvero con figli maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti.
Tali principi sono stati riaffermati anche in epoca successiva (vedasi per tutte Cass. 14.5.2007 n. 10994, che ribadisce come non sia in alcun modo consentito in sede di separazione o di divorzio al Tribunale “di assegnare la casa coniugale al coniuge che non sia affidatario di figli minori o maggiorenni incolpevolmente non autosufficienti, in quanto il potere del Giudice di assegnare la casa coniugale è in funzione degli interessi esclusivi della prole e non delle necessità di mantenimento del coniuge incolpevole”), anche se le nuove disposizioni di legge hanno, in qualche modo, reso meno lineare la possibilità per il giudice di preferire un coniuge all’altro nell’assegnazione della casa familiare.
L’art. 155quater c.c. ora dispone, infatti, che “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli” e, non solo dal punto di vista letterale, sembra segnare un mutamento rispetto alle abrogate previsioni di cui all’art. 155 c.c. ed allo stesso art. 6 comma sesto legge 898/70 (ove era stabilito:“l’abitazione familiare spetta di preferenza… al coniuge cui vengono affidati i figli”).
Potrebbe, dunque, trovare facile ingresso la tesi secondo la quale l’aspettativa del coniuge affidatario dei figli all’assegnazione della casa coniugale non corrisponda più ad un diritto di questi ultimi a mantenere l’habitat domestico, indipendentemente dalle vicende del vincolo che lega i genitori, ma corrisponda ora, tutt’al più, ad un mero interesse valutabile in via prioritaria, ma non disgiunta da altri possibili interessi.
Pare ragionevole, invece, ritenere che la novella legislativa abbia attribuito alla casa familiare ed alla sua assegnazione una esplicita e marcata valenza economica, come è tra l’altro espressamente dimostrato dalla previsione che“dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori” (art. 155 c.c.).
Di talchè, ferma restando la pressoché obbligata assegnazione al coniuge affidatario (o anche solo collocatario) dei figli minori, del godimento della casa coniugale si terrà doverosamente conto nella regolazione delle altre questioni economiche, mentre dovrà essere ribadita l’impossibilità di procedere, in assenza di accordo, all’assegnazione della casa coniugale ad una delle parti nell’ipotesi di mancanza di figli meritevoli di tutela.
Peraltro, anche al di là di un formale provvedimento di assegnazione, non potrà non tenersi conto del materiale e temporaneo godimento dell’immobile da parte di uno solo dei coniugi.
6. I criteri oggettivi e predeterminati di liquidazione dell’assegno di mantenimento adottati dal Tribunale di Monza (Tabelle 2008)
Già si è detto del carattere necessariamente ed inevitabilmente sommario della cognizione avente ad oggetto, in sede di udienza presidenziale, la liquidazione in via provvisoria di un contributo al mantenimento del coniuge e/o dei figli e dell’opportunità conseguente di porre, in modo chiaro e trasparente, alcuni punti di riferimento decisionale per il magistrato e per le stesse parti del giudizio.
Il quadro normativo non è, al riguardo, di grande aiuto, posto che solo con riferimento ai figli è stato introdotto qualche nuovo parametro indicativo.
In tema di mantenimento del coniuge, infatti, le norme applicabili sono rimaste immutate.
L’art. 156 c.c., relativo alle condizioni economiche a seguito della separazione, così recita: “Il giudice pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri. L’entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato.”
L’art. 5 della legge n. 898/1970, come modificato dall’art. 10 Legge n. 74/1987, così statuisce: “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.”
In tema di mantenimento dei figli, l’art. 155 c.c. novellato tra l’altro così dispone:
“Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:
le attuali esigenze del figlio;
il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
le risorse economiche di entrambi i genitori;
la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.
Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi”.
L’unica vera innovazione, di possibile contenuto pratico, è dunque quella introdotta in tema di mantenimento dei figli, con precipuo riferimento alle ipotesi di cui ai nn. 3 e 5 dell’art. 155 c.c..
In effetti, le esigenze attuali del figlio, il suo pregresso tenore di vita e le risorse economiche dei genitori erano parametri già ben presenti nella elaborazione giurisprudenziale precedente la novella del 2006: la valutazione dei tempi di permanenza presso ciascun genitore e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da questi ultimi assunti appaiono, invece, elementi suscettibili di essere tradotti nella riflessione prodromica alla liquidazione dell’assegno, oltre che coerenti con la filosofia dell’affido condiviso.
Ciò nondimeno, il Tribunale di Monza ha ritenuto opportuna, come già in passato, l’adozione di “Tabelle” motivatamente riassuntive delle ipotesi più ricorrenti e delle possibili ponderate risposte alle richieste di mantenimento formulate da uno dei coniugi (per sé e/o per i figli).
Ovviamente, le astratte previsioni generali dovranno di volta in volta essere riparametrate ed adattate al caso concreto, tenuto conto, quanto al mantenimento dei figli, dei nuovi criteri di cui al citato art. 155 c.c..
Sono, naturalmente, note al Tribunale le esperienze e le sperimentazioni di altri Fori, fondate su modelli matematici e/o statistici, astrattamente idonei a fornire risposte apparentemente inoppugnabili e di maggiore appeal.
Particolarmente apprezzabili sono le esperienze sviluppate dal Tribunale di Firenze (che, in collaborazione con la Facoltà di Economia della locale Università, ha elaborato il MoCAM vale a dire il Modello di Calcolo dell’Assegno di Mantenimento) e dal Tribunale di Palermo (che ha elaborato un software pubblico, scaricabile dal sito www.giustiziasicilia.it).
Il limite intrinseco ed oggettivo di tali orientamenti, pur validi in astratto, è da individuare nella peculiare situazione socio-economica del nostro Paese e nella notoria inaffidabilità dei parametri (in primis, le dichiarazioni dei redditi e la documentazione valida ai fini tributari e fiscali) necessariamente utilizzati per la liquidazione dell’assegno di mantenimento.
Per non tacere dei rischi di una asettica applicazione dei “nuovi” parametri dell’art. 155 c.c.: non sempre, ad esempio, ai “tempi di permanenza” corrispondono esborsi proporzionali (si pensi al vestiario, alle utenze ed alle spese di gestione dell’abitazione in cui risiedono i figli).
In estrema sintesi, il rischio -seriamente sperimentato da chi scrive- è quello di onerare in modo assolutamente non sostenibile i percettori di redditi da lavoro dipendente o similari e, per contro, di offrire un ulteriore ed immeritato premio a coloro che possono occultare o mascherare le loro reali condizioni patrimoniali.
La separazione è, soprattutto nell’attuale contesto economico, una sicura iattura per gran parte delle famiglie italiane: quel che la somma di due redditi modesti o non eclatanti consentiva (il peso di un solo canone locatizio o di un solo mutuo fondiario; il pagamento delle utenze per un solo immobile; l’economia domestica nella gestione della spesa alimentare; la gestione del tempo libero e delle vacanze) diviene dall’oggi al domani materialmente impraticabile, perchè alla divisione delle entrate si sovrappone la duplicazione delle uscite.
L’applicazione di un modello matematico può condurre, perciò, a conclusioni quasi aberranti proprio nelle situazioni reddituali medie o inferiori alla media: la somma di quanto appare necessario per consentire ad un figlio minore la conservazione del precedente tenore di vita, anche in relazione alle sue attuali esigenze, ha ad esempio condotto a computare in € 600,00 al mese il contributo di un padre percettore di un reddito pari a € 1.200,00 mensili, già onerato dei non indifferenti costi relativi al reperimento di una nuova soluzione abitativa.
Compito del giudice è, invece, quello di contemperare i dati acquisiti al fascicolo processuale con le proprie conoscenze e la propria esperienza (non soltanto in campo giuridico), al fine precipuo e non eludibile di fornire alle parti una risposta improntata a criteri di giustizia: ove così non fosse, il Tribunale potrebbe essere sostituito da un programma informatico, entro il quale gli interessati potrebbero convogliare i medesimi dati acquisiti al processo ed ottenere risposte e valutazioni asettiche, indiscutibili ed inoppugnabili, ma non per questo giuste.
Ogni criterio è, di per sé, opinabile e perfettibile, ma solo la leale collaborazione dei soggetti del processo, nessuno escluso, unita all’esercizio misurato ma indefettibile della giurisdizione, possono consentire di ridurre al massimo i rischi di una decisione che interviene, comunque, in una situazione di nuova sofferenza per alcune o per tutte le parti del giudizio.
Questa è, in sintesi, la filosofia posta alla base delle Tabelle elaborate dal Tribunale di Monza.
TRIBUNALE DI MONZA
CRITERI DI LIQUIDAZIONE DELL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO
PER CONIUGE E FIGLI IN MATERIA DI SEPARAZIONE E DI DIVORZIO
Tabelle 2008
Procedimento di separazione giudiziale
Ipotesi di coniugi senza figli
a) Qualora il coniuge richiedente non disponga di alcuna fonte di reddito, dovrà innanzitutto valutarsi se, eventualmente con il consenso dell’altro coniuge, sia possibile individuare un primo contributo nella assegnazione della casa coniugale.
Come è noto, nell’attualità del nostro contesto territoriale la disponibilità di una abitazione (soprattutto quando, come spesso accade, l’immobile sia di proprietà comune e non divisibile) può essere equiparata ad un non indifferente contributo economico, quantomeno in termini di risparmio degli esborsi necessari per il pagamento di onerosi canoni locatizi.
Nel territorio della neonata provincia di Monza e Brianza, il canone di locazione di una abitazione economica di medie dimensioni (2 o 3 locali, oltre servizi) è compreso tra € 500,00 ed € 800,00 mensili, in relazione all’ubicazione dell’immobile.
Avendo riferimento a situazioni reddituali medie (operaio/impiegato; € 1.200,00 / € 1.600,00 mensili per 13 o 14 mensilità), in assenza di particolari altre condizioni valutative (ad esempio: proprietà immobiliari molteplici; depositi o conti correnti di non scarsa entità), la liquidazione ipotizzabile è la seguente:
- con assegnazione della casa coniugale: assegno pari a circa 1/4 del reddito del coniuge obbligato (cioè da € 300,00 a € 400,00 circa);
- senza assegnazione della casa coniugale: assegno pari a circa 1/3 del reddito del coniuge obbligato (cioè da € 400,00 a € 535,00 circa).
Ovviamente, la percezione di mensilità aggiuntive oltre la 13a e di eventuali premi fissi annuali può consentire di integrare l’assegno in misura proporzionale e, comunque, ponderata.
b) Qualora il coniuge richiedente l’assegno sia dotato di redditi propri non adeguati (come tali dovendosi intendere quelli che, pur sufficienti a garantire un minimo di autosufficienza economica, non soddisfino l’esigenza di mantenere un tenore di vita ragionevolmente comparabile a quello precedente la rottura dell’unità coniugale), i criteri liquidativi sopra enucleati potranno trovare applicazione operando, quale parametro di riferimento, sul differenziale di reddito tra i coniugi.
Pertanto, nell’ipotesi spesso ricorrente di un coniuge con occupazione part-time produttiva di redditi modesti (es: € 600,00 mensili), la liquidazione dell’assegno potrà così essere effettuata:
- con assegnazione della casa coniugale: 1/4 di € 1.200,00 (o € 1.600,00) - € 600,00
- senza assegnazione della casa coniugale: 1/3 di € 1.200,00 (o € 1.600,00) - € 600,00
c) Le anzidette esemplificazioni possono trovare applicazione anche con riferimento a situazioni di reddito assai piu’ elevate, peraltro spesso suscettibili di contemperamenti in relazione a possibili altre attribuzioni economico/patrimoniali.
Se, infatti, la stragrande maggioranza delle controversie riconducibili a situazioni reddituali medie (operaio/impiegato) appare accomunata da parametri non molto dissimili tra di loro, non altrettanto può dirsi quanto ad altre condizioni professionali (professionista/commerciante/ imprenditore).
Innanzitutto, spesso discussa tra le parti è, in tali ipotesi, la reale condizione patrimoniale e reddituale della parte destinataria della richiesta di mantenimento (e, talvolta, anche quella della parte richiedente).
Il Presidente, dunque, sarà chiamato ad operare una cognizione sommaria degli elementi valutativi offerti dalle parti attraverso le produzioni documentali e le dichiarazioni rese all’udienza, onde stabilire, innanzitutto, il tenore di vita pregresso dei coniugi e le loro attuali condizioni patrimoniali e di reddito.
Spesso tale valutazione impone il superamento delle sole evidenze documentali rappresentate dalle dichiarazioni dei redditi, qualora in particolare queste ultime non appaiano in consonanza con altri indicatori della ricchezza (ad esempio: il possesso di autovetture di grossa cilindrata, di cospicue disponibilità finanziarie, di un consistente patrimonio immobiliare, di avviate attività commerciali, professionali, aziendali).
Dunque, il criterio della liquidazione di un assegno pari ad un quarto del presunto reddito dell’obbligato (in ipotesi di assegnazione della casa coniugale al coniuge richiedente) ovvero pari ad un terzo (in ipotesi di non assegnazione) potrà essere rispettato, previo opportuno contemperamento con la complessiva regolazione delle altre situazioni patrimoniali evidenziate dalle risultanze processuali.
Ipotesi di coniugi con figli
Ferme restando le considerazioni e le distinzioni operate con riferimento alla assegnazione o meno della casa coniugale, va osservato che, peraltro, nella stragrande maggioranza dei casi la abitazione coniugale viene assegnata al coniuge affidatario dei figli minori.
Appare opportuno, perciò, fornire alcuni elementi valutativi concernenti questa ipotesi maggiormente ricorrente.
Inoltre, deve premettersi che, normalmente, viene posto a carico del coniuge non affidatario anche l’obbligo di contribuire nella misura del 50% al pagamento delle spese mediche e scolastiche straordinarie, di talchè la regolamentazione provvisoria dell’assegno per il mantenimento dei figli imporrà al Presidente l’adozione di criteri prudenziali ancor piu’ strettamente collegati alle peculiarità del caso concreto.
Il Tribunale ha, inoltre, sovente valutato la possibilità di una ripartizione percentuale non paritaria (es. 60% e 40% oppure 70% e 30%) delle spese straordinarie nelle ipotesi in cui sussista sproporzione tra i redditi dei genitori
Possono, dunque, essere indicativamente ipotizzate le seguenti situazioni:
a) Nel caso in cui al coniuge affidatario dei figli minori ed assegnatario della casa coniugale non sia liquidato alcun assegno per il proprio mantenimento la liquidazione del contributo al mantenimento dei figli, da porsi a carico dell’altro coniuge, potrà variare in relazione al numero dei beneficiari.
Nelle situazioni reddituali medie (operaio/impiegato; € 1.200,00 / 1.600,00 mensili per 13 o 14 mensilità), in assenza di particolari altre condizioni valutative (ad esempio: proprietà immobiliari molteplici; depositi o conti correnti di non scarsa entità), la liquidazione ipotizzabile, in relazione ai redditi dell’obbligato, è la seguente:
- in presenza di un solo figlio: assegno pari al 25% circa del reddito (€ 300,00 / € 400,00)
- in presenza di due figli: assegno pari a circa il 40% del reddito (€ 480,00 / € 640,00)
- in presenza di tre figli: assegno pari al 50% circa del reddito (€ 600,00 / € 800,00).
b) Nel caso in cui al coniuge affidatario dei figli minori ed assegnatario della casa coniugale sia liquidato un assegno per il proprio mantenimento, nelle situazioni reddituali medie i criteri liquidativi sopra ipotizzati dovranno essere opportunamente contemperati alla opportunità di salvaguardare le esigenze di vita del coniuge obbligato (spesso chiamato ad esborsi per il reperimento di una abitazione).
La liquidazione, pertanto, potrà essere effettuata con riferimento ai seguenti parametri:
- in presenza di un solo figlio: assegno pari ad 1/5 circa del reddito (€ 240,00 / € 320,00)
- in presenza di due figli: assegno pari a circa 1/3 del reddito (€ 400,00 / € 535,00)
- in presenza di tre figli: assegno pari a 2/5 circa del reddito (€ 480,00 / € 640,00).
Naturalmente, tali parametri dovranno essere opportunamente variati con specifico riferimento alla misura dell’assegno liquidato per il mantenimento del coniuge affidatario dei figli.
c) Le anzidette esemplificazioni possono considerarsi applicabili, in linea di principio, anche a situazioni di reddito assai piu’ elevate, peraltro spesso suscettibili di contemperamenti in relazione a possibili altre attribuzioni economico/patrimoniali.
Ovviamente, ribadite le maggiori difficoltà di accertamento anche sommario delle reali condizioni reddituali dei coniugi, una maggiore presunta disponibilità economico/patrimoniale dell’obbligato consentirà valutazioni e liquidazioni meno uniformi ma sostanzialmente piu’ congrue, soprattutto in considerazione della possibilità di garantire ai figli forme indirette di mantenimento (quali, ad esempio: rette scolastiche private; attività integrative; viaggi, vacanze e tempo libero; garanzie assicurative) non sempre quantificabili in modo rigido ed aprioristico.
Procedimento di divorzio
Le regole ed i criteri sopra sinteticamente enucleati possono trovare, come è ovvio, applicazione anche nella procedura divorzile.
E’ opportuno, peraltro, formulare alcune considerazioni strettamente collegate alle residue differenze (procedurali e sostanziali) tra gli istituti giuridici della separazione e del divorzio.
In particolare, il giudicante non potrà, neppure in sede di provvedimenti provvisori presidenziali, non rammentare la differente regolazione dell’assegno di mantenimento fornita dall’art.5 legge 898/70 rispetto all’art. 156 c.c..
Inoltre, deve considerarsi che molto spesso l’udienza presidenziale di divorzio trae origine da una pregressa separazione consensuale ovvero da una sentenza di separazione giudiziale pronunziata in epoca non molto lontana e, pertanto, ancora di estrema “attualità”.
E’ giocoforza, quindi, che il Presidente debba, nella stragrande maggioranza di tali ipotesi, confermare in via provvisoria la regolamentazione dei rapporti di mantenimento tra i coniugi già operata (dagli stessi consensualmente o dal Tribunale in sede di sentenza) nella procedura di separazione.
In tema di rapporti tra assegno divorzile ed assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione, la Suprema Corte ha stabilito:
- che “la determinazione dell’assegno divorzile è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti in vigenza di separazione” (vedansi: Cass. 28.1.2008, n. 1758 e Cass. 30.11.1997, n. 25010);
- che gli assetti patrimoniali definiti in sede di separazione dei coniugi al più possono fungere da “mero indice di riferimento nella misura in cui appaia idoneo a fornire elementi utili di valutazione” (vedasi: Cass.11.9.2001, n. 11575).
La stessa Corte di Cassazione ha, altresì, affermato che “la determinazione dell'assegno di divorzio, alla stregua dell'art. 5 della Legge 1 dicembre 1970 n. 898, modificato dall'art. 10 l. 6 marzo 1987 n. 74, è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti, per accordo tra le parti e in virtù di decisione giudiziale, in vigenza di separazione dei coniugi, poiché data la diversità delle discipline sostanziali, della natura, struttura e finalità dei relativi trattamenti, correlate e diversificate situazioni, e delle rispettive decisioni giudiziali, l'assegno divorzile, presupponendo lo scioglimento del matrimonio, prescinde dagli obblighi di mantenimento e di alimenti, operanti nel regime di convivenza e di separazione, e costituisce effetto diretto della pronuncia di divorzio.” (Cass. 11/09/2001, n. 11575; Cass. n. 593/2008; Cass. 28/1/2008, n. 1578; Cass. 2/07/2007, n. 14965; Cass. 12/07/2007 n. 15610; Cass. n. 4764/2007; Cass. n. 4021/2006).
Ovviamente, il giudicante terrà nel debito conto qualsivoglia modificazione significativa della situazione economica e patrimoniale dei coniugi, pur nella consapevolezza della peculiarità della natura giuridica (in parte alimentare, in parte risarcitoria) dell’assegno previsto dall’art.5 legge 898/70 e, pertanto, della necessità di una piu’ completa verifica, in sede contenziosa, dei presupposti necessari ai fini della sua liquidazione, che solo la fase istruttoria del giudizio di merito può offrire.
I criteri di liquidazione dell’assegno di mantenimento dei figli possono, invece, considerarsi in tutto identici a quelli già enunziati con riferimento alla procedura di separazione.
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LE NORME ESAMINATE
Art. 707 c.p.c.
COMPARIZIONE PERSONALE DELLE PARTI.
“I coniugi debbono comparire personalmente davanti al Presidente con l’assistenza del difensore.
Se il ricorrente non si presenta o rinuncia, la domanda non ha effetto.
Se non si presenta il coniuge convenuto, il presidente può fissare un nuovo giorno per la comparizione, ordinando che la notificazione del ricorso e del decreto gli sia rinnovata”.
Art. 708 c.p.c.
TENTATIVO DI CONCILIAZIONE E PROVVEDIMENTI DEL PRESIDENTE
“All'udienza di comparizione il presidente deve sentire i coniugi prima separatamente e poi congiuntamente, tentandone la conciliazione.
Se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere il processo verbale della conciliazione.
Se la conciliazione non riesce, il presidente, anche d'ufficio, sentiti i coniugi ed i rispettivi difensori, dà con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell'interesse della prole e dei coniugi, nomina il giudice istruttore e fissa udienza di comparizione e trattazione davanti a questi. Nello stesso modo il presidente provvede se il coniuge convenuto non compare, sentiti il ricorrente ed il suo difensore.
Contro i provvedimenti di cui al terzo comma si può proporre reclamo con ricorso alla corte d’appello che si pronuncia in camera di consiglio. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione del provvedimento”.
Art. 154 c.c.
RICONCILIAZIONE
“La riconciliazione tra i coniugi comporta l’abbandono della domanda di separazione personale già proposta”
Art. 155 c.c.
PROVVEDIMENTI RIGUARDO AI FIGLI
“Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole.
La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente.
Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:
le attuali esigenze del figlio;
il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
le risorse economiche di entrambi i genitori;
la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.
Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi”.
Art. 155ter c.c.
REVISIONE DELLE DISPOSIZIONI CONCERNENTI L’AFFIDAMENTO DEI FIGLI
“I genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, l’attribuzione dell’esercizio della potestà su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo”.
Art. 155quater c.c.
ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE E PRESCRIZIONI IN TEMA DI RESIDENZA
“Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo 2643.
Nel caso in cui uno dei coniugi cambi la residenza o il domicilio, l’altro coniuge può chiedere, se il mutamento interferisce con le modalità dell’affidamento, la ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti adottati, ivi compresi quelli economici”.
Art. 5 Legge n. 898/1970, come modificato dall’art. 10 Legge n. 74/1987
“Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.”
Art. 156 c.c.
“Il giudice pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri. L’entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato.”